Guardare Mary Page Marlowe ti fa sentire come se stessi cercando continuamente di ricomporre il mosaico della vita di una donna, intravista in scatti, illuminata da momenti di chiarezza, ma senza mai formare un quadro completo. Sotto la direzione di Matthew Warchus, nella sua stagione finale come Direttore Artistico all’Old Vic, la produzione mette in scena il dramma di Tracy Letts in modo non cronologico, attraverso 11 scene che coprono sette decenni, mostrando Mary a varie età.
Mary è un contabile, una figlia, una madre, una donna intrappolata dalle aspettative e dai suoi stessi rimpianti; lotta con l’addizione, le relazioni e la vergogna. Letts si rifiuta di darci spiegazioni ordinate: relazioni e segreti chiave sono impliciti piuttosto che chiaramente spiegati, e i frammenti vengono lasciati fluttuare. Questo dà potere al dramma, ma lascia anche dei vuoti che a volte lasciano il pubblico insoddisfatto. La scrittura trema di intensità in alcuni momenti, ma in altri può sembrare quasi distante nella sua moderazione. Mettere in scena il dramma in modo circolare lo rende più intimo; vediamo Mary da più lati, letteralmente, e quel senso di essere sempre parzialmente rimossi o parzialmente conosciuti si adatta al dramma.
Susan Sarandon, al suo debutto nel palco del Regno Unito, interpreta la Mary anziana alle età di 59, 63 e 69 anni. La sua performance è brillantemente calma e magnetica - trasmette la stanchezza fisica dell’età ma anche una solidità interiore. È un’interpretazione eccellente di una donna che ha vissuto tanto, portando il peso delle sue esperienze nella postura delle sue spalle.
Se la Sarandon fornisce al dramma la sua gravità emotiva, Andrea Riseborough fornisce la volatilità che lo mantiene vivo. Come Mary nei suoi quaranta e cinquanta anni, traccia il disfacimento di mezza età del personaggio con un’immediatezza cruda - è fragile, impulsiva, pronta a esplodere eppure mai ridotta a un cliché. Le scene della Riseborough scoppiettano con la tensione di chi cerca di sfuggire alle proprie scelte, rendendo la sua Mary la più imprevedibile e, a volte, la più struggente. Trova lampi di umorismo nelle difese del personaggio, permettendoci di intravedere il fascino che una volta attirava gli altri prima di rivelare rapidamente la vena autodistruttiva sottostante.
Le incarnazioni più giovani di Mary, interpretate da un forte ensemble (Rosy McEwen - come Mary di 27 e 36 anni, Alisha Weir - come una Mary dodicenne, e Eleanor Worthington-Cox come una Mary diciannovenne), offrono squarci del suo passato, traumi, relazioni danneggiate e ribellione, le cose che definiranno la sua vita successiva. Questi attori fanno molto per seminare i semi di ciò che la Sarandon e la Riseborough svelano in piena fioritura durante le loro scene.
Tuttavia, ci sono cose che frustrano. La stessa struttura che è la scelta artistica di Letts, la non cronologia, il saltare tra le età, il trattenere le spiegazioni, significa che Mary rimane sempre parzialmente elusiva. Vediamo molte scene che sono potenti in sé, ma troppo spesso veniamo portati via prima che le correnti sotterranee si sviluppino pienamente. Il dramma stuzzica i suoi temi di identità, ruoli di genere e autoconoscenza, ma spesso li lascia alla deriva, senza risoluzione.
In definitiva, Mary Page Marlowe si rivela un’esplorazione riflessiva e spesso commovente di una vita vissuta. Le interpretazioni di ciascuna Mary e l’eccellente cast di supporto danno al pezzo il suo battito cardiaco, anche quando la struttura episodica mantiene leggermente a distanza il pubblico. È una produzione da vedere per la sua recitazione straordinaria e per il modo in cui ci chiede di ricomporre, da frammenti, i misteri di una vita ordinaria e complicata.
Mary Page Marlowe è all’Old Vic fino al 1° novembre.
Crediti foto: Manuel Harlan
