NAPOLI E MATERNITA', UN DUO IMPRESCINDIBILE
Quattro mamme scelte a caso. Ma non poi così a caso. Il testo composto da quattro monologhi scritti da Alessio Arena, Luigi Romolo Carrino, Massimiliano Palmese e Massimiliano Virgilio viene presentato come un omaggio a Annibale Ruccello, l’autore cultore della cultura popolare partenopea scomparso prematuramente in un incidente automobilistico nel 1986.
Gli autori scelgono qui di rappresentare la maternità nei suoi più intimi risvolti. Essere madre non sempre significa avere un buon rapporto con i propri figli. Soprattutto nella consistente e pesante presenza materna che la “napoletanità” si porta dietro nella sua lunga storia. Madri ossessive, madri-padrone, madri deluse, madri straziate dal dolore e dalla propria ingerenza come se quel cordone ombelicale non dovesse mai essere tagliato o al contrario come se non dovesse mai esserci stato.

Ne scaturisce una lettura tragicomica in cui la risata si alterna alla nevrosi, alla dolcezza e perché no, alla cattiveria. Mauro Toscanelli torna a Teatrosophia con la regia di questa pièce - in cui interpreta anche uno dei ruoli - riuscendo a tirar fuori da se e dai suoi attori una viscerale identificazione umana dove non esiste più distinzione basata sul sesso anatomico, ma ci troviamo davanti a quattro anime. Le quattro madri sono infatti interpretate da attori uomini ma lungi dal pensare che si tratti di uno spettacolo en travesti. Nei quattro monologhi ci si dimentica completamente del sesso degli interpreti e si viene trasportati in un universo in cui femminilità e mascolinità non hanno poi molto più senso se presi singolarmente.
Nel primo monologo, una madre insoddisfatta che ha perduto il suo primo figlio prima del parto e con lui anche il rapporto con il marito, ha poi una seconda chance di maternità da un singolo incontro fortuito e cresce da sola la sua figlia probabilmente viziandola fin troppo. Pur nella sua frustrazione non può non ricordare con profondo amore ogni momento bello e intenso della sua maternità. Segue una madre rinchiusa in manicomio che come madre natura sceglie un albero di arance e lo cura con amore credendolo suo figlio. C’è poi una madre e nonna delusa, quasi falsa invalida che detesta invecchiare ma è molto più “tecnologica” della figlia inetta e del nipote che non ha ancora trovato se stesso. Per finire con la madre nell’aldilà che prova ad apparire al figlio per esortarlo alla fuga dall’Italia prima che arrivi un’annunciata catastrofe.

Nell’oscuro palcoscenico del Teatrosophia non c’è scenografia. Solo quattro oggetti che caratterizzano ogni scena. Un carrello della spesa, una sedia verde a simboleggiare le radici dell’albero, una sedia a rotelle, una ciotola di fagiolini da pulire. Tutto questo per esaltare l’essere umano, le sue parole, i suoi sentimenti.
Vincenzo Longobardi è la madre natura, intensa, triste ma felice nella sua follia. Fabio Fantozzi è la madre-nonna, forse il personaggio meno riuscito perché cade in alcuni cliché che hanno un po’ banalizzato questo personaggio. Gabriele Cantando Pascali è la madre single, forse il momento più poetico e sincero di tutta la pièce. E lo stesso regista Mauro Toscanelli è la madre fantasma combattuta tra la devozione religiosa e la sua ribellione. Su tutto regna la più sincera napoletanità con le sue cadenze dialettali, la sua decadenza, la sua naturale e drammatica spettacolarità che Toscanelli ha saputo ben descrivere e esaltare.
QUATTRO MAMME SCELTE A CASO
Omaggio ad Annibale Ruccello

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