BWW Reviews: C'è qualche cosa in te...?

By: Oct. 04, 2013
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Un proprodotto potenzialmente ottimo ma che all'atto pratico
perde la maggior parte del suo fascino. Un vero peccato.
BroadwayWorld.com - Italy

C'è qualche cosa in te - spettacolo scritto, diretto e interpretato da Enrico Montesano (Rugantino, Se il tempo fosse un gambero, Bravo!, E menomale che c'è Maria...) - ha debuttato ieri al Teatro Brancaccio, applaudito da un folto parterre di vip, amici e affezionati accorsi in via Merulana per assistere all'ultima "fatica" del celebre attore romano.

L'intento della pièce è di rendere omaggio alla commedia musicale di Garinei e Giovannini attraverso la storia di Nando Ciavatta, custode nel deposito costumi del Sistina (suppongo poiché non viene mai detto esplicitamente), che deve far fronte all'imminente demolizione del Teatro e alle inaspettate visite di Delia, giovane impertinente che di tanto in tanto si intrufola nel magazzino per curiosare. Le due trame s'intrecciano sul finale con una rivelazione non certo imprevedibile che ci accompagna per mano verso il lieto fine: [SPOILER ALERT] Delia, infatti, non è solo la figlia di Nando ma anche la proprietaria della ditta che ha ordinato la demolizione che, quindi, non avrà più luogo.

Bella prova da attore per Montesano, sempre in grande spolvero. I suoi monologhi scatenano risate e applausi a scena aperta da parte del pubblico, che sembra non averne mai abbastanza. Le sole cose che non ho gradito - e lo dico a costo di sembrare moralista - son state le parolacce gratuite e la satira 'esplicita.' Mi spiego meglio. Non sto dicendo che il teatro leggero non debba contenere riferimenti politici, ma era proprio necessario fare nomi e cognomi? Anche Garinei e Giovannini punteggiavano i loro spettacoli di satira (mi vien da pensare al parallelismo tra la guerra fredda e Un Trapezio per Lisistrata) ma il bello del loro modus operandi era l'allusione... buon gusto che in questo caso non ho ritrovato.

Le esilaranti digressioni di Montesano vengono, ahimè, interrotte da scialbi momenti d'ensemble che - tra cori in playback e coreografie decisamente poco entusiasmanti - smorzano la tensione comica creata dal protagonista. Nel corpo di ballo, per lo più piatto e disorientato, catturano l'attenzione e si distinguono per verve ed energia Gianluca Conversano e l'acrobata Manuel Mercuri.

La nuova Delia Scala, Ylenia Oliviero, non è certo all'altezza della sua antesignana. La Scala, al secolo Odette Bedogni, non era una grandissima attrice e nemmeno una grandissima cantante. E fin qui il paragone regge. Ciò che distingue le due "Delie" è l'ingrediente principale, il carisma. È anche vero che recitare accanto a un animale da palcoscenico come Montesano non dà molte possibilità di emergere (in modo particolare se l'intero spettacolo è costruito per mettere in mostra le sue abilità di mattatore), ma qualche manciata di non-so-che in più avrebbe sicuramente aiutato.

Sul palco insieme al padre, per la prima volta, troviamo Michele Enrico e Marco Valerio Montesano che interpretano, rispettivamente, l'avvocato Nicolò Gerini - spasimante di Delia - e il simpatico "Tuttofare." Entrambe le performance non sono eccelse, specialmente a livello canoro. Prevedibile.

Il testo non è molto accurato. Si tralasciano alcuni dettagli e molte cose vengono date per scontate: perché Delia entra nel deposito di costumi per la prima volta? Non è verosimile che dopo soli due incontri si passi da meri sconosciuti a buoni amici. Altrettanto inverosimile è il fatto che i demolitori debbano "trattare" direttamente con il custode: non sono forse queste pratiche burocratiche da sbrigare 'ai piani alti'?

Passando alla struttura, è vero che nella commedia musicale non si richiede, come nel musical, un'assoluta amalgama tra musica e dialogo, ma qui sembra che gli autori abbiano ragionato 'a compartimenti stagni': il passaggio tra parlato e cantato risulta macchinoso e poco naturale. A riprova di ciò v'è che prima di ogni numero musicale i protagonisti sono quasi costretti a declamarne il titolo per fornire l'anello mancante tra i due elementi, infrangendo una delle regole più importanti della scrittura teatrale: show, don't tell - mostra, non dire. Come diretta conseguenza, le melodie dei grandi maestri (tra cui Trovajoli, Kramer e Rascel), che avrebbero dovuto assumere un ruolo centrale, non sono abbastanza valorizzate anche perché affiancate da inutili canzoni inedite firmate da Renato Serio (a cui si devono anche i trascurabili arrangiamenti). Perché, quindi, sottotitolare lo spettacolo "omaggio alla commedia musicale" quando la commedia musicale diventa un mero elemento di contorno?

Considerazioni finali? Sì, molte... ma mi limiterò alla principale: ci si trova davanti ad un prodotto potenzialmente ottimo ma che all'atto pratico - vuoi per la scelta di collaboratori non adatti, vuoi per l'imperizia drammaturgica ed un cast sbagliato - perde la maggior parte del suo fascino. Un vero peccato.


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