BWW Editorial: il family-musical

By: Nov. 04, 2015
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Con questo articolo vorrei parlare di un genere teatral-musicale che ha preso piede in Italia una decina di anni fa, più precisamente nel 2003, anno del debutto dello spettacolo "Pinocchio" - con le musiche dei Pooh - che ha aperto la strada ai cosiddetti family-musical italiani.

Si tratta di spettacoli per tutta la famiglia dal carattere leggero e dallo stile più vicino alla commedia musicale che al musical. Un genere che, a quel che mi risulta, è stato analizzato molto poco, per quanto sia di relativo interesse per autori e studiosi (rappresenta la quasi totalità dei prodotti originali offerti dai nostri teatri).

Voglio dire subito una cosa: nel corso di questo articolo parlerò di vari spettacoli (purtroppo non li ho visti tutti, quindi citerò solo alcuni esempi molto significativi e voi mi perdonerete per le dimenticanze) e non guarderò in faccia nessuno. Non tanto per fare il Travaglio dei poveri quanto per il fatto che a me interessa lo spettacolo in sé. Ad avere attori preparatissimi, ballerini impeccabili, costumi e scenografie fatte benissimo e registi con cinquant'anni di palcoscenico alle spalle son buoni tutti, basta avere i soldi per poterseli permettere. Io in questa sede vi racconterò cosa è stato fatto avendo a disposizione queste risorse e nient'altro.

"Pinocchio": sgenio e regolatezza

Come è noto all'inizio del millennio l'Italia fu travolta dal grande successo di "Notre-Dame de Paris" ed è lecito pensare che sia stato proprio quel successo a dare ai produttori il coraggio per investire in altri spettacoli musicali. Per questo motivo "Pinocchio" fu per me una doccia gelata: per un breve eccitante momento avevo avuto l'impressione che il nostro paese fosse finalmente pronto per grandi spettacoli coinvolgenti fatti di grandi passioni e musiche coi controcazzi, e "Pinocchio" mi riportava bruscamente alla realtà, dimostrando come in Italia ci sia spazio solo per canzonette, sentimenti niente affatto genuini e attori bravissimi quando si tratta di risultare simpatici durante le interviste ma molto meno quando si tratta di rendere bene un personaggio.

La prima cosa che notiamo guardando "Pinocchio" è che è uno spettacolo che non richiede alcun tipo di partecipazione. Sei continuamente consapevole del fatto di star guardando uno spettacolo teatrale, non corri assolutamente il rischio di confondere un personaggio con l'attore che lo interpreta.

Per capire meglio cosa intendo dire credo possa essere utile confrontare i testi delle canzoni di "Pinocchio" con quelli di un altro lavoro basato sul romanzo di Collodi: "Burattino senza fili" di Edoardo Bennato.

Ecco come il cantautore partenopeo affronta il personaggio del grillo parlante:

"È un grillo parlante
si crede importante
ha tanto studiato
si è laureato
viene, viene, eccolo qua
e adesso sentirete
che predica che ci farà!

Tu grillo parlante
che parli alla gente
ma chi t'ha invitato
ma chi t'ha pregato
sei un profeta di varietà
e la tua predica
non ci servirà!

Comincia la festa
ma la festa è festa
soltanto ad un patto
che spacchiamo tutto!
Per noi la festa è questa qua,
e nessuna predica mai
ci servirà!

[...]

Tu dici che hai avuto
un ricco passato
che hai tanto girato
sei tanto istruito
e allora adesso
impara un'altra verità:
a fare il profeta, mai
nessuno ci guadagnerà!"

("Tu grillo parlante" da "Burattino senza fili", Edoardo Bennato)

Ecco come viene presentato lo stesso personaggio nel musical.

"GRILLO: Sono un grillo parlante e sapiente.
Sono la voce che è dentro di te.
I miei consigli non costano niente
e sono per te!
PINOCCHIO: Risparmia sul tuo lavoro,
so cavarmela da solo.
Per evitare sbagli,
non mi servono consigli.
GRILLO: Sei proprio un permaloso,
ignorante e presuntuoso,
perfettamente degno
di una gran testa di... legno.
son proprio i tipi come te che a lungo andare
regolarmente vanno poi a finire male.
Ascolta un grillo che sa stare al mondo
e che di cose ne ha viste un bel po'.
se prendi tutto ridendo e scherzando,
è peggio per te!
Vietato contestare,
consentito consentire.
Disdicevole mentire,
ma fa onore confessare.
Vietato complottare
preferibile obbedire.
Il pentimento è lecito,
se non è programmatico.
Chi fugge si umilia,
chi bara s'impiglia,
chi offende si svende,
chi imbroglia si sbaglia.
Non hai percepito
che cosa è proibito?
E non hai capito
che cosa è vietato?
PINOCCHIO: Ma che tormento! Stai zitto un momento!
Tutto vietato, la tua è una mania!
Secondo te non si può fare niente,
ma vattene via!"

("Il grillo parlante" da "Pinocchio", Stefano D'Orazio - Dodi Battaglia, )

Come potete vedere Bennato cerca di offrire una sua interpretazione del personaggio, presentandolo come un intellettuale scollato dalla realtà non molto distante dai "profeti della rivoluzione" di cui cantava De Andrè (non dimentichiamo che "Burattino senza fili" è un album del 1977). Nello spettacolo dei Pooh gli autori si limitano a presentarti una situazione in maniera abbastanza distaccata, senza aggiungere né togliere niente a quello che lo spettatore già possiede. Insomma, sono canzoni che lasciano il tempo che trovano, nel vero senso della parola.

Interessante poi notare come il più teatrale tra i due testi sia il primo, nel quale l'autore si fa portavoce di un gruppo di ragazzi di borgata, mentre nel secondo ogni personaggio si limita a spiegare chi è, cosa fa e quali sono i suoi sentimenti in maniera molto sommaria.

Un'altra cosa che notiamo ascoltando "Pinocchio" è che ha - per banalità, non per fedeltà al personaggio - solo due registri: scoppiettante e piagnucoloso. Ci sono scene in cui tutti saltano, ballano e si divertono e scene intrise di sentimentalismo spicciolo. In mezzo non c'è nulla.

Una cosa positiva di "Pinocchio", bisogna dirlo, sono i costumi. Non tanto perché sono fatti bene (come ho già detto, ci mancherebbe pure che fossero fatti male, visto che li ha fatti la principale compagnia di teatro musicale italiana) quanto per il fatto che sono l'unica cosa dietro la quale sembra esserci un lavoro creativo vero e proprio. Si è cercato di ricreare un'atmosfera a metà strada tra i film di Fellini, un colorato oratorio degli anni '70 e le illustrazioni della prima edizione del romanzo: il risultato può piacere o non piacere ma almeno ci viene offerta un po' di sostanza.

Dopo "Pinocchio"

Ad ogni modo non voglio soffermarmi troppo su "Pinocchio" perché tutto sommato è uno spettacolo che ha il pregio di avere un minimo di originalità e di rappresentare comunque sia un investimento da parte della Rancia (un investimento furbo, intendiamoci, ma pur sempre un investimento). È molto più interessante osservare gli spettacoli successivi, quelli a cui "Pinocchio" fece da apripista, che mostrarono gli stessi limiti del primo con l'aggravante di essere più che altro dei mockbuster dei classici Disney.

Per chi non lo sapesse i mockbuster sono quei film che trovate a dieci euro nei cestoni degli autogrill e che hanno titoli come "Ratatoing", "Il re leone e suo figlio", "The little panda fighter", "Titanic - mille e una storia" e una locandina vagamente simile a quella di un film di successo. Tali pellicole a basso costo vengono acquistate in genere da due categorie di persone: 1) gli spettatori grullacchioni convinti che così come si può comprare la Mole-Cola al posto della Coca-Cola si possa comprare un film della Dingo Pictures al posto di un film della Pixar 2) gli amanti del trash.

È né più né meno quello che succede con spettacoli come "Aladin" o "Il libro della giungla", nei quali persino la componente visiva o lo sviluppo narrativo è mutuato dal corrispondente film Disney. Non sono nemmeno tanto sicuro che ciò sia legale ma va detto che raramente i grandi produttori si scomodano a far causa ai mockbuster (salvo che qualcuno non cominci a scambiarli per l'opera originale) consapevoli del fatto che, come dice un vecchio adagio, "l'imitazione è la più sincera forma di ammirazione".

E va detto anche che in questa sede degli aspetti legali della cosa ce ne frega molto poco: dopotutto non dobbiamo mai dimenticare che "Harry Potter" è stato girato da persone che detenevano i diritti per farlo e "Nosferatu" da persone che non li detenevano. Anche ogni scrupolo morale è di per sé fuori luogo in quanto utilizzare idee altrui è perfettamente lecito a teatro. Dopotutto "Il Fantasma dell'Opera" nacque da un plagio di uno spettacolo di Ken Hill e lo stesso "Aladin" disneyano pescò a piene mani da film come "Il ladro di Bagdad" e "The thief and the cobbler". Molti grandi artisti prendono in prestito idee di altri artisti, solo che poi gliele restituiscono con gli interessi, ovvero le migliorano. Gli autori dei family-musical, viceversa, vogliono solo fare soldi sulle idee altrui.

Peggio: quando smettono di copiare per qualche secondo e provano a fare di testa propria tirano fuori cose abominevoli, di una banalità sconcertante, come la fumosa profezia che conclude "Il libro della giungla" o l'indovina svampita di "Aladin".

"Aladin"

In effetti è chiarissimo che gli autori di questi spettacoli non hanno idea di quello che stanno facendo. Basta confrontare una scena qualsiasi di uno di questi spettacoli con l'equivalente disneyano che scimmiotta.

Un esempio (ma se ne potrebbero fare mille) è quella scena di "Aladin" (di Stefano D'Orazio, che all'epoca aveva da poco lasciato i Pooh per dedicarsi solo al teatro musicale) che si svolge all'entrata della Caverna delle Meraviglie, quando Aladin chiede a Jafar di aiutarlo ad uscire ma questi rifiuta di farlo se prima Aladin non gli consegnerà la lampada. Nel film questo avviene nel momento culminante di un climax, al termine di una fuga rocambolesca dalla caverna che sta crollando ed è un momento carico di adrenalina. Nello spettacolo questa scena diventa il pretesto per (indovinate un po') l'ennesimo siparietto comico (avevate indovinato, bravi!).

Il problema è sempre quello: la totale incapacità di andare oltre i due registri di base "piagnucoloso" e "scoppiettante", di cogliere le sfumature. Questo problema emerge anche dal raffronto tra un'altra scena del musical e il suo corrispettivo nel film Disney: quella in cui Jafar dà a Jasmine la falsa notizia della morte di Aladin.

Al di là del fatto che nello spettacolo questa scena è stata piazzata nel bel mezzo di una canzone d'amore cantata da Jasmine, cosa che abbassa notevolmente la tensione che si dovrebbe respirare in questo momento, se osservate il suo equivalente filmico scoprirete che è un gioiellino di regia cinematografica in cui nulla è lasciato al caso. Come sappiamo a Jasmine verrà data una brutta notizia, quindi l'atmosfera è tragica, ma sappiamo anche che questa notizia è falsa (difficile che il protagonista di un film Disney muoia al termine della prima mezz'ora) e molte cose sono lì a stemperare la tensione. L'atteggiamento viscido di Jafar, l'uso sapiente del controcampo, la fotografia e soprattutto Jago. All'inizio della scena, infatti, il pappagallo di Jafar rimane incastrato comicamente in mezzo a una porta e continua a fare capolino all'interno del dialogo tra i due finché non viene spinto fuori dalla stanza dal suo padrone. Alla fine della scena Jago ricompare, sempre in maniera alquanto ridicola. Può sembrare una cosa da niente ma se ci pensate Jago nel film rappresenta la linea comica e il fatto che in una scena del genere sia presente ma nascosto (a stemperarne la tragicità), visibile solo per Jafar, è interessante. Avviene una cosa simile nel "Don Pasquale" durante "Sogno soave e casto", quando Ernesto canta la sua aria strappalacrime sul proprio sogno d'amore andato in frantumi (ma anche in questo caso scopriremo in seguito che nulla di quello che teme è accaduto realmente) e suo zio, sullo sfondo, borbotta frasi come "Ma, vhè... che originale!" o "Che tanghero ostinato!".

È la capacità di usare cose apparentemente da niente come questa che crea un film memorabile.

"Alice nel Paese delle Meraviglie"

Ma nel family-musical non c'è spazio per le piccole dosi perché gli autori credono che se la piantano di fare bordello per cinque secondi perderanno l'attenzione del pubblico, spesso composto in gran parte di bambini. Non è così: soprattutto i bambini hanno bisogno di pause, di momenti che li aiutino a concentrarsi e ad apprezzare l'atmosfera. Non puoi mettere sul palcoscenico l'equivalente del fargli "Bubù-settete!" per due ore di fila.

Uno spettacolo letteralmente terrorizzato all'idea di perdere l'attenzione del pubblico se smette di essere rumoroso è "Alice nel paese delle meraviglie" di Enrico Botta. Quest'ultimo potrebbe essere in assoluto lo spettacolo più brutto che abbia mai visto tra quelli appartenenti a questo genere. È uno spettacolo che non ha alcun interesse a raccontare o a esprimere qualcosa ma solo a cercare pretesti idioti per cantare canzoncine (peraltro tecnicamente molto inferiori a quelle dei Pooh) e saltellare un po' per il palco. Anzi, non vuole neanche un pretesto per cantare e saltellare, semplicemente ogni tanto parte un numero musicale. Sembra di assistere non già a un musical bensì al folliscimmia di mezzanotte di simpsoniana memoria.

Se ai Pooh non interessava andare oltre un'interpretazione superficiale dei personaggi delle loro storie a Enrico Botta non interessa manco sapere chi siano i personaggi di cui sta scrivendo.

In particolare mi ha fatto male fisicamente il modo in cui è stato reso uno di questi personaggi: il Coniglio Bianco. Questo personaggio, che nel romanzo rappresenta un adulto anaffettivo ossessionato dal tempo, che non degna Alice di uno sguardo (addirittura in una scena la scambia per la propria domestica), che Carroll stesso definisce "di un'anzianità, una timidezza e un nervosismo nettamente contrapposti alla giovinezza, all'audacia, al vigore e alla franchezza di Alice", qui diventa... l'amico coccoloso della protagonista.

Naturalmente un autore ha il diritto di dare una propria personale interpretazione di un personaggio ma qui siamo di fronte a un personaggio stravolto fino a trasformarsi nel proprio opposto! E non c'è assolutamente nulla che lo giustifichi (a parte il fatto che i conigli sono pucchosi e se il tuo scopo è attirare l'attenzione di una famiglia con bambini un coniglio gigante spupazzoso fa al caso tuo)!

Il motivo per cui me la prendo così tanto è che per capire un personaggio come il Coniglio Bianco - ormai entrato nel nostro immaginario e persino nel nostro linguaggio - non occorre ragionarci più di tanto, aver letto cosa scrivono in proposito Carroll e i chiosatori di tutto il mondo... in realtà non è neanche necessario averlo letto il romanzo! Se chiedi a chiunque, persino a un tizio che nemmeno sa dell'esistenza di un libro chiamato "Alice nel Paese delle Meraviglie", chi è il Coniglio Bianco, ti risponderà "È quello che ha sempre fretta e a cui Alice [o al limite Keanu Reeves] corre dietro.". È la prima e l'ultima cosa che dicono tutti di lui!

E, tanto per sfatare il mito secondo il quale "ci sta guardare cose leggere, così ci si riposa un po'", "Alice nel Paese delle Meraviglie" è un musical estremamente faticoso da guardare per via del suo parlare a vuoto per ore. E questa è una caratteristica che hanno tutti i family-musical, chi più chi meno.

Anche se devo dire che ho dato un'occhiata a un altro spettacolo, "Robin Hood" di Beppe Dati, che da questo punto di vista sembra abbia fatto dei passi avanti. Sembra che il ritmo sia migliore, sembra che i personaggi facciano qualcos'altro oltre a fare le facce buffe per intrattenere i bambini e sembra che le battute umoristiche siano di qualità più elevata e vengano usate con maggior parsimonia. Tuttavia quel "sembra" è d'obbligo perché non sono riuscito a vedere lo spettacolo per intero ma solo degli spezzoni.

"Peter Pan"

Dopo l'elogio del lavoro di Bennato che ho fatto qualche paragrafo fa immagino vi aspetterete di sentirmi elogiare anche "Peter Pan", musical tratto dal suo concept-disc "Sono solo canzonette". In realtà lo trovo uno spettacolo bruttino. Certo, le canzoni sono belle ma non sono solo le canzoni che fanno uno spettacolo, la maggior parte dell'abilità sta nell'inserirle al posto giusto e a al momento giusto.

Si vede lontano un miglio che "Sono solo canzonette" non è pensato per essere una commedia musicale. E non è nemmeno stato adattato allo scopo. Anzi, si è scelto anche di inserire nello show canzoni provenienti da vari dischi di Bennato, scelta assai infelice volta a raggiungere il minutaggio, e che non di rado prevede di stuprare il testo per adattarlo alla vicenda (ad esempio a un certo punto dello spettacolo Peter Pan canta "Viva la mamma! Viva le favole che lei ti racconta!"). Anche le canzoni di "Sono solo canzonette" non fanno una gran figura inserite nello spettacolo. Per esempio "Nel covo dei pirati" è una canzone molto toccante in cui i personaggi di Capitan Uncino e Wendy si confrontano, un momento di riflessione assai importante nell'album. Nello spettacolo questa canzone è stata infilata all'interno di un demenziale siparietto tra Wendy e i pirati: da una parte profonde riflessioni sulla crescita e dall'altra una Wendy il versione oca giuliva che fa battute in compagnia di una ciurma di pirati simile a quella di "Spongebob". Il risultato è agghiacciante.

Tra l'altro bisogna dire anche che non è facile cantare una canzone di Bennato senza essere Bennato. Non perché questi abbia chissà che gran voce ma perché è l'autore del rapporto tra parole e musica ed è davvero molto ma molto difficile sostituirlo. Come ho già detto, tuttavia, non voglio parlare degli interpreti in questo articolo.

Come al solito, poi, si è scelto di seguire pedissequamente l'omonimo film Disney, ma mischiare Bennato e la Disney non funziona. Sono due chiavi di lettura diverse. Certo, nel disco in questione convivono il mondo dei cantautori e quello della letteratura per l'infanzia (addirittura in un angolo della copertina c'è un piccolo Capitan Uncino preso direttamente dal film Disney) ma sono amalgamati con sapiente ironia e in maniera volutamente contrastanti. A mischiarle così a casaccio viene fuori un pastrocchio disturbante.

Ho sentito dire che Bennato (o chi per lui) ha intenzione di ripetere la stessa operazione con "Burattino senza fili". Se l'idea è di tirar fuori uno spettacolo simile glielo sconsiglio vivamente. Se invece sta pensando di dare allo spettacolo un taglio differente ricordiamo che come disse una volta Tim Rice "tutto può diventare un musical". Se l'idea è quella di rendere le atmosfere dell'album, magari (tanto per fare un esempio) osservando la storia dal punto di vista di un cantastorie o presentando una serie di brani non necessariamente collegati da un trama, potrebbe anche venir fuori qualcosa di bello.

"Il libro della giungla" e l'umorismo del family-musical

"Il libro della giungla" di Adriano Bonfanti e Gigi Reggi è un altro spettacolo bruttino che punta fondamentalmente sul titolo disneyano ma tra gli spettacoli di cui ho parlato in questo articolo è probabilmente il migliore. Non perché sia fatto chissà quanto bene (si potrebbe criticarne l'intreccio o l'uso insipiente che viene fatto delle canzoni) ma perché quantomeno non si prende troppo sul serio. L'obiettivo è sempre lo stesso: far ridere il pubblico facendo gli scemi; la differenza è che non si sente la stessa ansia di far ridere che si sente negli altri spettacoli. Non hai di fronte degli attori che continuano ad ammiccare verso di te, a strepitare, a fare mossacce e facce buffe nel tentativo patetico e disperato di strapparti una risata. Da non sottovalutare poi una differenza piccola ma sostanziale: ne "Il libro della giungla" è il personaggio a fare lo scemo per farti ridere, in uno spettacolo come "Aladin" è l'attore.

Il risultato è che la comicità de "Il libro della giungla" è talvolta involontaria, quasi sempre di basso livello ma perlomeno io non mi sono sentito prudere le mani guardando quello spettacolo, cosa che invece è accaduta con "Alice nel Paese delle Meraviglie".

È sorprendente, a questo proposito, come l'autore di family-musical non sia in grado di far ridere senza ricorrere a qualcosa creato da altri. Le citazioni anacronistiche sono onnipresenti.

Anche il genio dell'"Aladin" cinematografico faceva un abbondante uso di citazioni ma dietro di esse c'era comunque un personaggio valido. Tanto è vero che i bambini che guardavano quel film e che magari non coglievano certi riferimenti (questo lo so per esperienza, visto che ero uno di loro) riuscivano a apprezzarlo lo stesso perché 1) quel personaggio esisteva anche al di là delle citazioni che faceva 2) gli elementi anacronistici non erano inseriti a caso ma in momenti in cui servivano.

La componente musicale

Una caratteristica comune a tutti i family-musical è il fatto che le musiche non c'entrano una mazza con l'atmosfera dello spettacolo. Non mi riferisco solo al fatto che le musiche di "Aladin" sono tutto fuorché arabesche o che quelle de "Il libro della giungla" si sentirebbero più a loro agio in uno stacchetto musicale di un varietà di Fiorello che nell'India misteriosa. Mi riferisco al fatto che non c'entrano nulla con il soggetto. Il che è normale, dal momento che il soggetto è l'ultima cosa che importa agli autori di questi spettacoli.

Dal letame nascono i fior?

La domanda che viene spontanea alla fine di questo breve (rispetto alle cose che ci sarebbero da dire) excursus è: dalla tragica esperienza del family-musical è venuto fuori qualcosa di buono?

Per la maggior parte della gente rispondere a questa domanda significa guardare al numero di spettatori che hanno cominciato ad andare a teatro da quando i family-musical hanno cominciato a spopolare. Certo una caratteristica indubbia di uno spettacolo come "Pinocchio" è quella di essersi rivolto anche ad una fetta di pubblico che generalmente a teatro non ci va, quindi è possibile che i teatri italiani negli ultimi anni abbiano guadagnato qualche spettatore in più.

Quello che importa a me, però, è scoprire se grazie al family-musical siano nati degli spettacoli migliori, e questo francamente non mi risulta.

Sbagliando si impara ma serve qualcuno che ti dica che stai sbagliando. Purtroppo non è mai esistita una critica seria riguardo al family-musical. Preparando questo articolo ho cercato delle recensioni valide di questi spettacoli, in cui si analizzassero la drammaturgia degli spettacoli, il valore delle musiche e la professionalità degli autori ma non ne ho trovate. Tutto veniva definito bellissimo e divertentissimo.

Non che mi risulti difficile mettermi nei panni di un recensore che dopo aver visto uno di questi spettacoli, pur notandone i difetti, decide di scrivere il solito articoletto in cui si parla di quanto sembrava che gli attori si stessero divertendo mentre recitavano. Per molti versi quello del teatro musicale italiano è ancora un mondo di clientele e oggettivamente chi te lo fa fare di parlare dei difetti di uno spettacolo con il rischio di finire sul libro nero di tutti i produttori teatrali (cosa che probabilmente non ti farà piacere se sei uno che scrive di teatro o che addirittura nel teatro ci lavora)? E poi per chi devi farlo? Per quell'uno per cento di spettatori che quando guarda uno spettacolo di questo tipo si aspetta un certo livello qualitativo, e che è a sua volta una piccola porzione di un pubblico teatrale non vastissimo? Almeno quando Enrico Stinchelli (con cui tra parentesi non sono sempre d'accordo) lancia le sue frecciatine lo fa per uno zoccolo duro di melomani che lo stanno a sentire. Chi recensisce un musical perché dovrebbe farlo? Io stesso devo ammettere di non sentirmi particolarmente tranquillo dopo aver scritto questo articolo.

Credo che perché il teatro musicale italiano migliori sia necessario un cambio di mentalità proprio nei confronti della critica. Questo molti autori italiani lo sanno in teoria ma non in pratica. Troppe volte ho sentito frasi come "Le critiche costruttive sono bene accette" pronunciate con la stessa leggerezza con cui un vecchio compagno di studi dice "Vediamoci una di queste sere per una birra", o un oratore dice "In conclusione del mio intervento...".

Cronologia degli spettacoli citati nell'articolo

"Pinocchio": 2003
"Peter Pan": 2006
"Alice nel Paese delle Meraviglie": 2009
"Robin Hood": 2009
"Aladin": 2010
"Il libro della giungla": 2012



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